19/11/08

21 Novembre: giornata mondiale delle claustrali! Cosa ne pensi?

I monasteri nel mondo, tra difficoltà e nuova fioritura. “Numerosi sono i cristiani e gli stessi religiosi e religiose che vanno nei monasteri per rinnovare la propria fede, per esercitarsi nell’arte spirituale, per trovare pace e rinnovare le forze in vista della loro missione nella Chiesa e tra gli uomini. La responsabilità dei monaci è dunque grande e la Chiesa tutta attende da loro una testimonianza limpida e forte della presenza di Dio e della sua vicinanza che è amore per ogni essere umano.Occorre evitare il pericolo dell'attivismo. I monasteri sono i luoghi nei quali ci si esercita nell’“arte spirituale”, dove anche i religiosi e le religiose ritemprano le proprie forze per poi rilanciarsi nella loro missione." E’ uno dei pensieri con i quali il cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica è intervenuto oggi all’inaugurazione della plenaria convocata dal suo dicastero e dedicata, secondo la linea espressa dal titolo, alla vita monastica e al “suo significato nella Chiesa e nel mondo di oggi”. Il cardinale Rodé ha riconosciuto all’inizio del suo intervento che la vita monastica attraversa oggi “un’ora di grande difficoltà, un’ora non di decadenza spirituale, ma di povertà e di debolezza”, con comunità “che si avviano dolorosamente verso una diminuzione e anche una fine”. Tuttavia, ha affermato, proprio per la loro capacità di forte attrazione verso le cose dello spirito, le comunità monastiche conservano una grande responsabilità e da esse la Chiesa attende “una testimonianza limpida e forte della presenza di Dio e della sua vicinanza che è amore per ogni essere umano”. Il cardinale prefetto ha sviluppato in tre punti la sua riflessione: vivere il celibato e la vita comune in modo radicale, guardarsi dal pericolo dell’attivismo, prestare attenzione alla formazione per ritrovare una teologia sapienziale. Riguardo al pericolo dell’attivismo, il cardinale Rodé ha stigmatizzato un “grande rischio” dell’attuale vita monastica: quello, ha rilevato, “di una certa febbre della missione, di una tentazione di visibilità e sovraesposizione, magari animate dalle migliori intenzioni, ma pericolose – ha osservato - per quella gratuità e quella semplicità che è autentico stile cristiano e che aiuta a comprendere la ‘follia della croce’ assunta da chi nulla antepone all’amore di Cristo”. Dunque, ha concluso, nonostante le difficoltà se il monachesimo “resta fedele” alla sua vocazione di “cercare Dio in Cristo Gesù”, può “giungere a far sgorgare dalla vita la celebrazione, in modo che la fede celebrata sia forza alla trasmissione della fede e la fede vissuta sia traccia di umanizzazione e di cultura autentica”.Secondo le stime ufficiali più aggiornate, oggi la presenza dei monaci nel tessuto ecclesiale parla si oltre 12.800 monaci residenti in 905 monasteri. In media, le comunità maschili sono composte in media da 15 religiosi, prevalentemente collocate in ambiente cittadino, con un coinvolgimento nell’attività pastorale della Chiesa locale. Le monache sono circa 48.500, distribuite in 3520 monasteri, due terzi dei quali situati in Europa. La tendenza è ad un calo vocazionale, specie nel Vecchio Continente, anche se, spiega una nota, “vi sono realtà ecclesiali in Asia, Africa ed anche in parte America Latina nella quali la vita monastica femminile fiorisce: vi sono vocazioni, le comunità crescono, si aprono nuove fondazioni”. Una crescita che, secondo quanto sottolineato dallo stesso cardinale Rodé, interroga le comunità sull’accoglienza e la formazione dei ragazzi e delle ragazze che ancora oggi “desiderano vivere una vita conforme a quella di Gesù e nulla preferire all’amore di Cristo”.
Ho fatto questo post perchè la nostra vita oggi è vista in tanti modi. Alcuni pensano che ormai bisogna chiudere i monasteri perchè non hanno un futuro, altri pensano che andrebbe ridimensionata la loro presenza sul territorio perchè ce ne sono troppi e con poche vocazioni per cui è meglio unirli , altri pensano che la loro presenza e testimonianza, anche se debole e povera è un immensa ricchezza per la chiesa locale e non solo. Mi chiedo se per voi che da un anno mi seguite la mia presenza sul blog è stata positiva o se ha corso il rischio di quella tentazione di visibilità di cui parla il Cardinale Rodè. Lo chiedo anche perchè dopo un anno vorrei anche fare una verifica insieme a voi. grazie . sr. M. Carmen

14/11/08

Novembre: vento di morte o passione di vita?

Circa 8 anni fa sono andata in famiglia per la morte di mio padre. C'era una delicata situazione da affrontare e ho passato un mese insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle per trovare la soluzione migliore. In quell'occasione sono andata spessissimo in cimitero. Non solo perché era ancora troppo vivo in me il ricordo di mio padre o perché avevo l'occasione unica di recarmi sulla tomba di mia madre che non avevo mai avuto la possibilità di visitare, essendo in monastero, ma anche perché in quei giorni ho fatto un esperienza molto bella e ancora oggi, a distanza di tanto tempo, la conservo viva dentro di me. Avevo sempre percepito l'atmosfera del cimitero come una atmosfera triste, un luogo dove andare giusto una volta all'anno per portare qualche fiore ai nostri parenti o in casi di lutti, per la sepoltura, ma non era certo un luogo dove sostare a lungo, specialmente quando ti incontravi faccia a faccia con la sofferenza più dura di qualcuno che aveva appena perso una persona cara. Ma in quell'occasione non fu così per me. Forse a causa della scelta di vita che ho fatto o forse per il nuovo orizzonte che guida la mia vita, le mie visite al cimitero sono state come una lunga passeggiata in un bosco stupendo, pieno di vita, pieno di volti e di colori. Ho provato la gioia di camminare piano, senza nessuna fretta, ammirando le tombe, quelle semplici e quelle più complesse, l'arte delle composizioni floreali, i piccoli giardini nei prati tra una muro lunghissimo di tombe e il silenzio profondo che regnava al punto da farmi sentire per qualche istante come presente nel mio monastero pur essendone lontana migliaia di chilometri. Mi trovavo nella mia città nel mese di gennaio, il freddo intenso e il periodo in cui non vi è un grande afflusso nel camposanto, rendeva ancora più misterioso il clima che sentivo nel cuore: pregavo dentro di me, ricordavo volti e attimi di vita passati insieme a chi era ormai entrato in un altra dimensione della vita e con mio grande stupore mi sentivo attratta da quel posto, andavo via malvolentieri quasi con nostalgia. La nostalgia di una presenza, di una morte che non aveva detto la parola fine ma che proprio dentro un metro di terra o dietro una lastra di marmo continuava a vivere l'unica vita per la quale vale sempre la pena di vivere. La vita dell'amore, dell'amore donato e dell'amore ricevuto, dell'amore che non si è fatto in tempo a vivere in pienezza o che forse non si ha mai avuto il coraggio di dichiarare. L'amore ferito e strappato e l'amore vissuto per lunghissimi anni nella fedeltà fatta di piccole e grandi cose. In cimitero più di un qualsiasi altro posto al mondo ho guardato tante persone sconosciute negli occhi, mi sono sentita interpellare profondamente e mi sono anche sentita come a Casa, circondata da tantissima gente che aveva varcato, come disse Giovanni Paolo II, la soglia della Speranza. La Speranza Cristiana fa l' esperienza della speranza perchè tocca con mano che la vita non è tolta ma trasformata. Oggi quando pensiamo alla morte sentiamo una grande paura e un angoscia spaventosa: il solo pensiero ci da la sensazione che qualcosa o qualcuno voglia impedirci di vivere! Io credo però che l'unica cosa che può farci veramente morire o che ci possa togliere veramente una persona cara, sia la rinuncia all'amore. Questa è la più triste dichiarazione di fallimento della vita, di qualsiasi vita, questa uccide la passione per la vita, questa è l'unica vita senza ritorno. con amicizia ciao!

09/11/08

Vivere in comunità: essere chiesa o qualcos'altro?

Oggi mi viene particolarmente in mente il mio mare e mi viene in mente con una riflessione che può sembrare strana per il suo collegamento. Nella celebrazione liturgica, la Chiesa ci invita a far festa nel ricordo della Dedicazione della Chiesa Madre, la Basilica di San Giovanni in Laterano! Mi direte. Cosa c'entra il mare? Ogni qual volta penso ad una chiesa, in qualsiasi parte del mondo, la penso nella mia mente come vedo questo piccolo scoglio circondato dal mare e attaccato alla terra ferma. Per chi sa nuotare e ha avuto la fortuna di circondarlo a nuoto può capire la sensazione che tantissimi anni fa ho avuto io e che ancora oggi mi porto dentro stampata nel mio cuore. Chi lo guarda da lontano, lo vede come un piccolo punto sporgente, un posto dove approdare e riposarsi per poi ripartire o per fermarsi e inoltrarsi nella terra ferma magari per mettersi in salvo in caso di difficoltà. A volta entriamo in una chiesa proprio con questi stessi sentimenti. La vediamo mentre stiamo attraversando la strada della nostra vita, ci sentiamo stanchi e nell'immensa solitudine che a volte sentiamo dentro , proviamo il bisogno di fermarci, anche solo per pochi minuti quasi a volerci attaccare a qualcosa di solido che ci dia la sicurezza di essere, almeno per un istante, in un porto sicuro. Anche la comunità religiosa è una piccola chiesa, le sue pietre sono vive, i suoi muri sono fatti di carne , le sue porte e le sue finestre sono qualche volta invecchiati dal tempo, ma parlano, attraverso gli sguardi tramandati da una generazione ad un altra, dei giorni che hanno custodito e dei passi di silenzio che hanno attraversato tante vite diverse. Ma non sempre siamo comunità, non sempre ci rendiamo conto che essere chiesa è condividere Qualcuno, è avere dentro uno stesso amore che ti rende un porto sicuro per chiunque attraversi la tua strada e che, al tempo stesso, cambia la tua stessa vita e la rende affascinante fino alla fine. A volte ci accontentiamo di nuotare isolati, preferiamo la solitudine e la tristezza di non voler dire a qualcuno che abbiamo visto un bel mare e un mondo stupendo , preferiamo custodire i nostri sentimenti, le nostre aspirazioni, le nostre illusioni e le nostre sconfitte e delusioni dentro quella piccola maschera che mettiamo sul viso e alla fine riusciamo solo ad essere ancora più tristi ed angosciati. Quante volte la paura ci impedisce di essere Chiesa e di essere semplicemente cristiani. Ciao!

01/11/08

La Missione continua!

Un mese è finito e un altro inizia: ma il calendario del mio cuore non cammina insieme a quello appeso alla parete. Quando sono entrata in monastero avevo un concetto di missione all'acqua di rosa. I missionari partivano per delle nazioni povere, andavano a vivere la loro vita tra persone che non avevano mai sentito parlare dell'amore di Dio, di Gesù Cristo, vivevano con loro, come loro e davano la loro vita per questi fratelli a volte divorati da malattie e da stenti di ogni genere. Noi potevamo solo avere una grande ammirazione, potevamo pregare per loro, potevamo essere loro vicini con l'affetto e l'amicizia attraverso la corrispondenza. La vita monastica però mi ha dato molto presto un altra prospettiva: ho capito solo in monastero cosa significava vivere per annunciare Cristo. I primi anni in convento, quando ero una semplice postulante, restavo perplessa e fortemente critica davanti agli usi monastici che facevano trasparire una povertà voluta come scelta e non imposta dalla indigenza della vita. Alle monache non mancava nulla, sulle loro mense c'era anche molto di più di quello che un povero in senso letterale poteva permettersi, ma quando si trattava di lavare i piatti non usavi l'acqua corrente, ma li lavavi dentro una bacinella stando molto attenta a non sprecare ne detersivo ne acqua se non lo stretto necessario! Le prime volte, vedendo l'acqua subito sporca mi arrabbiavo, invocavo la necessità di una maggiore attenzione all'igiene...ma la verità era che venivo da una vita dove lo spreco, l'usa e getta, il volere a tutti i costi il prodotto superfluo, tutto questo era dentro il mio sangue come i miei globuli rossi. Poi pian piano ho cominciato a leggere le riviste missionarie, a leggere certe vite di tanti fratelli e sorelle che avrebbero voluto avere una sola bacinella d'acqua non per innaffiare i fiori, ma per bere ...che con poche lire potevano vivere una settimana mangiando un pezzo di pane e la mia missionarietà è cominciata. Le monache vivono della provvidenza che il Signore manda e quello che arriva al monastero non serve solo per il sostentamento delle monache ma anche per arrivare con le nostre scelte fino ai confini della terra per far sentire al più piccolo dei nostri fratelli che Dio lo ama e che non è solo. Fare attenzione alle lampade accese inutilmente non è una fissazione ma una responsabilità che Dio mi chiede di vivere come giustizia e come solidarietà. Ho capito che un vetro si può lavare anche con l'acqua senza andare in crisi perché la Superiora non mi ha comprato l'ultimo prodotto smagliante e profumato! Ecco perché il mese missionario per me non è finito e non può finire: accompagnerò così Don Giuseppe che alla fine di questo mese partirà per il Brasile e raggiungerò Serena in Burkina Fasso tra i suoi bambini con la consapevolezza che semplicemente continuando a fare la mia vita potrò essere, come Teresa, tutto quel che Vorrei! Ciao!