22/09/20

RINASCERE NELLO SPIRITO CON O SENZA PANDEMIA


PANDEMIA: VIRUS DI MORTE O RINASCITA NELLO SPIRITO?

 

Non pensavo di scrivere queste righe perché le riflessioni che ho fatto in questi quasi due anni  sono talmente tante che a volte comincio da una parte o da un punto qualsiasi perché mi vengono da uno stimolo ricevuto da una lettera, una mail, una omelia o semplicemente da uno sguardo fuori dalla finestra e poi finisco in tutt'altra zona, in tutt'altro mondo a considerare e valutare altri aspetti molto diversi dal punto di partenza. Però voglio dire una cosa: mi ha colpito molto la circolare che ci ha mandato un nostro superiore con tutte le risposte che hanno inviato le comunità di monache e di frati della nostra provincia quando è stato chiesto loro di condividere come stavano vivendo questo periodo di “chiusura – clausura” del “resto a casa” forzato dal governo e dal buon senso… E allora ho pensato anch’io di condividere, anche se non so ancora con chi di preciso. Per noi consacrate in monastero la clausura non è mai qualcosa di forzato ma è una scelta voluta, è uno spazio vitale nel quale ci ritroviamo anche molto bene nonostante le difficoltà della vita quotidiana. Il fatto che sia stata una pandemia a chiederci di restare tutti a casa per salvare la vita nostra e quella altrui ci ha proiettato in una dimensione veramente nuova non soltanto come donne e uomini giovani o meno giovani ma soprattutto come consacrati. Ci ha messi allo specchio a chiederci: e ora che cosa vuoi vivere? Che cosa ti manca? Che cosa vorresti veramente? Quale è il sacrificio che senti nel profondo del tuo cuore così pesante da sentirti salire dentro ansia angoscia paura? Paura di morire? No! In monastero si muore ogni giorno, ogni anno e per tantissimi anni a volte.  E poi si ricomincia a vivere! Qualche risposta me la sono data, ma per ora non è quello che voglio condividere non è per parlare di me soltanto (anche se ne avrei un gran bisogno!) che sto scrivendo queste riflessioni. Il motivo per cui scrivo è perché voglio fissare nella mia memoria, nella mente e nel profondo del mio cuore queste riflessioni che sto facendo e che, sì, non lo nego, mi stanno cambiando la vita.  Quale vita? Da quasi due anni è cambiata totalmente.  Una parola giuridica: Soppressione! Dopo 36 anni, niente più monastero, niente comunità, niente preghiere in comune, niente pasti insieme, niente condivisioni della Parola, niente lavoro insieme, niente ricreazioni, niente relazioni buone o difficili che fossero, niente solennità o esercizi spirituali insieme! Difficoltà a vivere la santa Messa quotidiana per gli orari a cui non si è più abituati delle parrocchie perché la tua quotidianità monastica ti facilitava la scelta: un orario ben determinato, a volte flessibile e a volte no, ti conduceva passo dopo passo nel vivere l’esigenza del tuo essere cristiana e consacrata! Difficoltà a trovare…come direbbe una vecchia canzone di Celentano, un prete con cui chiacchierare, non tanto perché in fondo hai bisogno di parlare con qualcuno (cosa legittima, sei un essere umano!) o perché hai il desiderio e il bisogno  di ricevere il sacramento della confessione, ma per quella esigenza profonda che proprio perché sei consacrata senti dentro, che è fatta di un  confronto, di discernimento, del camminare nella chiesa e con la chiesa che ami e  alla quale appartieni insieme ai tuoi fratelli. Anche questo è scontato in monastero! In clausura c’è sempre un prete o un frate che tu puoi chiamare, con cui parlare, e la maggior parte delle volte non devi aspettare tanto per un incontro, non devi prendere un appuntamento, ma basta manifestare alla superiora o al sacerdote stesso questa necessità perché venga fatto il possibile, in tempi brevi, affinché ciò si realizzi. C’è come un codice di priorità che non è scritto da nessuna parte ma che viene rispettato da una parte e dall’altra della clausura: la priorità dello spirito, per tutto ciò che ti aiuta a vivere quell’unica ragione per cui sei in monastero! Poi ci sono le difficoltà che nascono anche per il corpo: dopo una vita passata a vivere di provvidenza, senza il pensiero di andare ad un supermercato a fare la spesa per te soltanto (qualche volta l’avevo fatta anche in monastero ma per una comunità di un bel numero di persone che tutti i giorni a pranzo e a cena, compresi eventuali ospiti di passaggio, dovevano anche mangiare e non solo pregare!) e dover stare attenta ai prezzi, e avvertire lo scrupolo di scegliere qualcosa che magari ai tuoi occhi costa tanto…ma ti piace maggiormente, e che magari ti ha  spinto a mangiare più volentieri ( perché quando si mangia da soli non si ha voglia di mangiare e cucinare!!!) Non parliamo poi dei vestiti: improvvisamente scopri che le scarpe che usavi in convento non vanno bene per chi esce fuori; anche se hai un abito religioso che sei abituata a portare con tutte le stagioni, capisci subito che fuori ci si sporca molto di più che in monastero e che devi essere più “ in ordine” che non in casa tua, perché anche la testimonianza esterna è importante e la sciatteria non fa proprio piacere a nessuno ne  a vederla e neppure a viverla!  E ci sono anche le medicine poi, perché se sei sola non hai la farmacista del convento che vede e provvede! E ammalarsi non è un’opzione ma un fatto che succede e che bisogna affrontare! E i soldi che per una vita nemmeno vedevi da lontano improvvisamente diventano necessari per vivere: si, tanti ti chiedono se…hai bisogno di qualcosa!!! Ma la vergogna che si prova a non sentirsi talmente “povere di spirito e di corpo” da aver bisogno di tutto, nessuno di coloro che te lo chiedono la conoscono! E allora, con un sorriso, dici che no, non hai bisogno di nulla, che va tutto bene, ma bene non va. Ecco come cambia la vita! Per un lungo periodo non vengono vocazioni, le monache (e anche i frati e i preti!) invecchiano, e si ritrovano a fare una bella fatica per continuare a vivere la vita di tutti i giorni che con tanta gioia ed entusiasmo hanno fatto per 30 o 40 o 50 anni e più, ed  ecco allora che il vento dello spirito comincia a soffiare e a far capire che è tempo di cambiare vita: soppressione  del monastero e dispersione delle restanti monache in altri monasteri ancora in vita.  Questa è la soluzione più accreditata e non sempre capita e accettata dai fedeli che vivono intorno al monastero! Comincia quindi il periodo in cui …cerchi casa…cioè cominci a chiedere a vari monasteri se c’è disponibilità ad accoglierti, a darti un posto, anche piccolo, nella loro famiglia! E io l’ho fatto! Che umiliazione! Come è diverso dall’avere 29 anni e bussare alla porta di un convento con tutta la forza dell’amore che senti nel cuore per rispondere ad una chiamata così bella che ti ha fatto cambiare vita ed avere invece 65 anni o più quando sai di essere conosciuta (perché il tuo monastero fa parte di una federazione e ci si conosce…anche se molto superficialmente!)  più per i difetti o i problemi che puoi avere o che puoi avere avuto nel tuo cammino vocazionale che per quello che ancora puoi essere e dare! Oggi sei una persona e una consacrata che improvvisamente ha perso tutto e non ha più nulla! Espropriata di tutto! E pure ricevi tanti no! Con gentilezza, con tanta preghiera, con tanto dispiacere nel cuore, e a volte, molto raramente, ti viene detto in faccia, ma il più delle volte non si ha il coraggio di dirti che…non c’è posto per te, perché rischi di destabilizzare gli equilibri che ci sono, perché si è già stati accoglienti con altre persone e ora magari ci si è pure pentite di averlo fatto, perché c’è posto solo per vocazioni giovani e che dopo i 40 anni non è il caso di ricominciare ad inserirsi in una comunità! Detto con franchezza: quanta ipocrisia nella vita religiosa che cammina a braccetto con tanta santità!  Poi c’è qualcuno di buona volontà che di corsa ti accoglie: ti manifesta affetto, fiducia, compassione ed è pronta a fare qualunque cosa per te!  Ti commuovi! E scopri che oltre al cuore grande e generoso hanno anche un ‘età molto generosa: Età media sopra i 75 anni. Poche vocazioni o nessuna. E con un incredibile futuro davanti a loro: quello della loro soppressione! E io ci sono già passata. E non posso nemmeno lontanamente immaginare di passarci di nuovo! E’ la cosa più triste e più devastante che abbia mai vissuto in vita mia. Chiudere un monastero non è cambiare casa, traslocare! Chiudere un monastero è chiudere una, due, cinque, sette vite, è chiudere una storia di centinaia e centinaia di anni, di giorni, è strapparsi dagli occhi ma ben più dal cuore sentimenti, emozioni, ricordi, relazioni, momenti di vita belli e brutti, e guardare avanti: rinascere ad una nuova vita nello spirito! Si chiude per la vita, ci viene detto da superiori, spiritualisti, confessori e psicologi! Chiudere un archivio di foto, documenti, smantellare una libreria di migliaia di libri, è come restare soffocati dall’immenso materiale che si accumula negli anni e che oggi tocca a te, eliminare, bruciare, regalare, buttare via con i camion della nettezza urbana! E alla fine, avere la maledetta responsabilità di essere rappresentante legale: un giorno, molto lontano, lo consideravi anche come un bel titolo da mettere sotto la tua firma perché esprimeva la fiducia e la stima delle tue sorelle che te lo avevano affidato!  Oggi invece la sento come una condanna, una condanna che in questo tempo di pandemia per il Coronavirus mi uccide molto di più.  Dopo aver vissuto tutto questo, tenendo il dolore e le lacrime solo per me e per il Signore, ho scelto di vivere vicino al monastero in un piccolo appartamento in città  per seguire da vicino  la transazione del passaggio del monastero e la sua alienazione e nel quale pago l’affitto non piccolo e tutte le utenze necessarie, grazie a un piccolo quid che la superiora mi ha messo su un conto corrente prima di separarci, (sono al secondo anno di esclaustrazione che finirò nel febbraio 2021) E in questo appartamento che è diventato come un piccolo monasterino cittadino,  ho  sognato ancora  con gioia quasi infantile  di poter vivere  in una comunità che almeno per tanti e tanti altri anni ancora sarebbe stata lontana dal pericolo della sua estinzione e con la quale mi sentivo legata da profondo affetto e sintonia di vita,  ma anche qui sono nate difficoltà aggravate dal coronavirus che ha colpito la comunità per   un mio eventuale inserimento,  e allora oggi mi chiedo: Spirito Santo, ma cosa devo fare ancora? Dove devo andare a vivere? Con chi?  A chi posso dire e confidare che ho il terrore di andare nell’unico posto che mi ha mostrato accoglienza e benevolenza?  Ho una buona salute, ho imparato fin da piccola grazie all’educazione ricevuta dai miei genitori a badare a me stessa e ad affidarmi a Dio con tutte le mie forze, ma le forze dello Spirito mi stanno venendo a mancare. Anche perché il mio compito di concludere la vendita del monastero non è concluso: un semplice documento chiamato VIC (valutazione di interesse culturale) che il ministero italiano della Soprintendenza dovrebbe inviarmi da Roma con la risposta alla mia richiesta di poter alienare i beni del monastero, non mi è ancora arrivato nonostante da gennaio l’iter sia stato totalmente concluso e chissà ancora quanti mesi dovrò attenderlo! Questo documento impedisce il passaggio di proprietà e l’atto notarile che darebbe il via alla realizzazione di un importante centro socio-sanitario per ragazzi disabili della zona dove è ubicato il monastero. E ora che arriva il crollo dell’economia per tutta la nostra nazione e per tanti altri paesi europei, cosa sarà di questo progetto? Chi si è impegnato con tanto entusiasmo a voler realizzare questo progetto nel nostro monastero e ha ottenuto permessi e finanziamenti avrà ancora la volontà di realizzarlo o l’economia sarà anche per loro una difficoltà enorme da superare? Me lo chiedo insieme a tante altre cose!

Certo, in tutto questo cammino non sono rimasta del tutto sola, i Superiori mi hanno supportato e …sopportato! Ma una cosa è un monastero soppresso con la sua conseguente alienazione e una cosa è la vita delle monache soppresse!

E guardandomi intorno, proprio in questo tempo di pandemia, vedo la durissima situazione nella quale   vivono tanti monasteri. Quante di queste sorelle nei prossimi anni vivranno la condizione di monache soppresse e saranno reinserite in altre comunità in luoghi e monasteri totalmente diversi da quelli nei quali hanno vissuto per una vita intera?! In questi mesi, tanti anziani e meno anziani sono morti soli, lontani dalle loro famiglie, dai loro cari, a volte purtroppo senza nemmeno la dovuta assistenza che al contrario spesso nelle nostre comunità si riceve fino all’ultimo respiro con carità e tenerezza.

Mai come in questi mesi mi sono sentita una cosa sola con l’umanità intera. Con questa umanità totalmente fragile, sofferente e sola!  Io ho sofferto e soffro nel cuore, loro, tanti di loro, hanno sofferto e soffrono nel corpo e nel cuore. Non è stato facile vivere la mia fede on-line! Ore ed ore al computer ad ascoltare la Messa del Papa.  A seguire qualsiasi altra sua iniziativa, o dei miei confratelli del mio ordine religioso, o del nostro vescovo e dei parroci della mia diocesi. Ma tutto questo non ha colmato il vuoto dell’Eucarestia quotidiana, della liturgia celebrata insieme, della Pasqua difficile da percepire come Resurrezione e piuttosto ferma ancora ad un Sabato Santo dentro un silenzio profondo al quale non ero abituata e che non avevo mai vissuto.  

Ho cercato, nonostante quello che dentro di me stavo vivendo, di trasmettere speranza e fiducia, serenità e anche allegria in modo particolare a delle persone molto più giovani di me e che non riescono ad avere la forza di sperare in un futuro che ogni giorno di più toglie il respiro perché non sai dove e come andrai a finire, usando la tecnologia e la libertà di tempo che ho a disposizione. Mi sono chiesta tante volte, pregando per queste persone, per i miei cari, per coloro che sono nella sofferenza e nella disperazione: cosa è diventata e come diventerà, se ancora la potrò vivere, la mia vita contemplativa e claustrale?

Allora ritorno alla domanda che mi sono fatta ancora una volta questa mattina, provocata dall’omelia del Papa: rinascere dallo Spirito! Come e dove e quando?

“Davanti alle difficoltà, davanti a una porta chiusa, che loro non sapevano come andare avanti, vanno dal Signore, aprono il cuore e viene lo Spirito e dà loro quello di cui hanno bisogno e vanno fuori a predicare, con coraggio, e avanti. Questo è nascere dallo Spirito, questo è non fermarsi al “dunque”, al “dunque” delle cose che ho sempre fatto, al “dunque” del dopo i Comandamenti, al “dunque” dopo le abitudini religiose: no! Questo è nascere di nuovo. E come si prepara uno a nascere di nuovo? Con la preghiera. La preghiera è quella che ci apre la porta allo Spirito e ci dà questa libertà, questa franchezza, questo coraggio dello Spirito Santo. Che mai saprai dove ti porterà. Ma è lo Spirito.” Papa Francesco nell’omelia di una mattina qualsiasi durante questa pandemia.

Prima che tutto questo succedesse avevo anche un altro desiderio; un piccolo pellegrinaggio a Lourdes dove la mia vocazione era nata quasi 40 anni fa: volevo proprio tornare da…Mia Madre per chiederle ancora una volta di guidare la mia vita. Ho avuto la grazia di andarci per 10 anni insieme a mia mamma e ad una mia sorellina handicappata con l’Unitalsi prima del mio ingresso in convento. Ora anche lei, Maria, è in quarantena, se così si può dire e non si può andare a pregare laggiù e dove si sperimenta nel cuore la sua presenza più che altrove, ma sono sicura che ancora potrà prendermi per mano e aiutarmi e aiutare il mondo intero a vivere questo tempo. Maria Carmen

 

 

Sono passati diversi mesi da quando ho scritto queste riflessioni.  Oggi la conclusione di questo mio tempo sta per arrivare e anche il mio servizio…civile…seppur in ambito monastico religioso, giunge al termine. Anche la realizzazione e presto la apertura   del nuovo centro socio-sanitario assistenziale per ragazzi disabili è quasi pronta.

Mi chiedo ancora oggi tante cose, alcune scontate, altre solo utopiche forse. Saranno ancora tanti i monasteri che chiuderanno in Italia e in Europa?  Forse sì!

 La soppressione è l’unica via per cambiare pagina, per far fronte alla mancanza delle vocazioni e dell’invecchiamento?  A volte ho l’impressione che, come nella famiglia, l’eutanasia o il divorzio, siano come degli slogan per fare delle scelte che non sono per la vita ma per la morte, sia della vita contemplativa sia delle persone che sono state chiamate a viverla. E i fatti di cronaca, delle famiglie e degli anziani, che tutti i giorni sono sotto i nostri occhi lo dimostrano.  Quelli delle monache, per fortuna, non finiscono molto sui giornali!

E ancora mi chiedo: ma la vita contemplativa ha ancora bisogno di spazi immensi, di grandi comunità, di strutture di separazione? Perché la dove ci sono nuove presenze ancora si realizzano grandi strutture per dei monasteri che saranno sempre più abitati da numeri molto diversi da quelli di un tempo? Oggi una grande fascia di umanità vive molto precariamente e senza una casa e noi abitiamo in case vuote e così cariche di pesi per la loro manutenzione e conservazione che nessuno è più in grado di portare.  Allora quel silenzio, che nulla ha a che vedere con il silenzio abitato da Dio, viene spesso condiviso da altre riflessioni e angosce!

E se la pandemia davvero cambiasse le nostre vite? La clausura è una nostra scelta, è una chiamata, è un modo di vivere…è uno spazio vitale dove c’è un rapporto ben preciso con Qualcuno, ma non è e non sarà mai un muro di cinta, una casa isolata lontana dalla città, una grata di separazione o una assenza di tecnologia o di contatti! Perchè la vita claustrale è bellezza, è riconciliazione, è incontro, è dialogo, è un orizzonte, è un infinito, è vita eterna sempre e dovunque. Chissà quanti giovani ancora oggi hanno l’esigenza profonda di vivere questa vita e hanno solo bisogno di qualcuno che li aiuti a trovarla!