PANDEMIA: VIRUS DI MORTE O RINASCITA
NELLO SPIRITO?
Non pensavo di scrivere queste righe perché le riflessioni
che ho fatto in questi quasi due anni sono talmente tante che a volte comincio da
una parte o da un punto qualsiasi perché mi vengono da uno stimolo ricevuto da una
lettera, una mail, una omelia o semplicemente da uno sguardo fuori dalla
finestra e poi finisco in tutt'altra zona, in tutt'altro mondo a considerare e
valutare altri aspetti molto diversi dal punto di partenza. Però voglio dire
una cosa: mi ha colpito molto la circolare che ci ha mandato un nostro
superiore con tutte le risposte che hanno inviato le comunità di monache e di
frati della nostra provincia quando è stato chiesto loro di condividere come
stavano vivendo questo periodo di “chiusura – clausura” del “resto a casa”
forzato dal governo e dal buon senso… E allora ho pensato anch’io di
condividere, anche se non so ancora con chi di preciso. Per noi consacrate in
monastero la clausura non è mai qualcosa di forzato ma è una scelta voluta, è
uno spazio vitale nel quale ci ritroviamo anche molto bene nonostante le
difficoltà della vita quotidiana. Il fatto che sia stata una pandemia a
chiederci di restare tutti a casa per salvare la vita nostra e quella altrui ci
ha proiettato in una dimensione veramente nuova non soltanto come donne e
uomini giovani o meno giovani ma soprattutto come consacrati. Ci ha messi allo
specchio a chiederci: e ora che cosa vuoi vivere? Che cosa ti manca? Che cosa
vorresti veramente? Quale è il sacrificio che senti nel profondo del tuo cuore
così pesante da sentirti salire dentro ansia angoscia paura? Paura di morire?
No! In monastero si muore ogni giorno, ogni anno e per tantissimi anni a volte.
E poi si ricomincia a vivere! Qualche
risposta me la sono data, ma per ora non è quello che voglio condividere non è per
parlare di me soltanto (anche se ne avrei un gran bisogno!) che sto scrivendo
queste riflessioni. Il motivo per cui scrivo è perché voglio fissare nella mia memoria,
nella mente e nel profondo del mio cuore queste riflessioni che sto facendo e
che, sì, non lo nego, mi stanno cambiando la vita. Quale vita? Da quasi due anni è cambiata
totalmente. Una parola giuridica:
Soppressione! Dopo 36 anni, niente più monastero, niente comunità, niente
preghiere in comune, niente pasti insieme, niente condivisioni della Parola, niente
lavoro insieme, niente ricreazioni, niente relazioni buone o difficili che
fossero, niente solennità o esercizi spirituali insieme! Difficoltà a vivere la
santa Messa quotidiana per gli orari a cui non si è più abituati delle
parrocchie perché la tua quotidianità monastica ti facilitava la scelta: un
orario ben determinato, a volte flessibile e a volte no, ti conduceva passo
dopo passo nel vivere l’esigenza del tuo essere cristiana e consacrata!
Difficoltà a trovare…come direbbe una vecchia canzone di Celentano, un prete
con cui chiacchierare, non tanto perché in fondo hai bisogno di parlare con
qualcuno (cosa legittima, sei un essere umano!) o perché hai il desiderio e il
bisogno di ricevere il sacramento della
confessione, ma per quella esigenza profonda che proprio perché sei consacrata
senti dentro, che è fatta di un confronto, di discernimento, del camminare
nella chiesa e con la chiesa che ami e alla quale appartieni insieme ai tuoi fratelli.
Anche questo è scontato in monastero! In clausura c’è sempre un prete o un
frate che tu puoi chiamare, con cui parlare, e la maggior parte delle volte non
devi aspettare tanto per un incontro, non devi prendere un appuntamento, ma
basta manifestare alla superiora o al sacerdote stesso questa necessità perché
venga fatto il possibile, in tempi brevi, affinché ciò si realizzi. C’è come un
codice di priorità che non è scritto da nessuna parte ma che viene rispettato
da una parte e dall’altra della clausura: la priorità dello spirito, per tutto
ciò che ti aiuta a vivere quell’unica ragione per cui sei in monastero! Poi ci
sono le difficoltà che nascono anche per il corpo: dopo una vita passata a
vivere di provvidenza, senza il pensiero di andare ad un supermercato a fare la
spesa per te soltanto (qualche volta l’avevo fatta anche in monastero ma per
una comunità di un bel numero di persone che tutti i giorni a pranzo e a cena,
compresi eventuali ospiti di passaggio, dovevano anche mangiare e non solo
pregare!) e dover stare attenta ai prezzi, e avvertire lo scrupolo di scegliere
qualcosa che magari ai tuoi occhi costa tanto…ma ti piace maggiormente, e che
magari ti ha spinto a mangiare più
volentieri ( perché quando si mangia da soli non si ha voglia di mangiare e
cucinare!!!) Non parliamo poi dei vestiti: improvvisamente scopri che le scarpe
che usavi in convento non vanno bene per chi esce fuori; anche se hai un abito
religioso che sei abituata a portare con tutte le stagioni, capisci subito che fuori
ci si sporca molto di più che in monastero e che devi essere più “ in ordine”
che non in casa tua, perché anche la testimonianza esterna è importante e la
sciatteria non fa proprio piacere a nessuno ne
a vederla e neppure a viverla! E
ci sono anche le medicine poi, perché se sei sola non hai la farmacista del
convento che vede e provvede! E ammalarsi non è un’opzione ma un fatto che
succede e che bisogna affrontare! E i soldi che per una vita nemmeno vedevi da lontano
improvvisamente diventano necessari per vivere: si, tanti ti chiedono se…hai
bisogno di qualcosa!!! Ma la vergogna che si prova a non sentirsi talmente
“povere di spirito e di corpo” da aver bisogno di tutto, nessuno di coloro che
te lo chiedono la conoscono! E allora, con un sorriso, dici che no, non hai
bisogno di nulla, che va tutto bene, ma bene non va. Ecco come cambia la vita!
Per un lungo periodo non vengono vocazioni, le monache (e anche i frati e i
preti!) invecchiano, e si ritrovano a fare una bella fatica per continuare a
vivere la vita di tutti i giorni che con tanta gioia ed entusiasmo hanno fatto
per 30 o 40 o 50 anni e più, ed ecco allora
che il vento dello spirito comincia a soffiare e a far capire che è tempo di
cambiare vita: soppressione del
monastero e dispersione delle restanti monache in altri monasteri ancora in
vita. Questa è la soluzione più
accreditata e non sempre capita e accettata dai fedeli che vivono intorno al
monastero! Comincia quindi il periodo in cui …cerchi casa…cioè cominci a
chiedere a vari monasteri se c’è disponibilità ad accoglierti, a darti un
posto, anche piccolo, nella loro famiglia! E io l’ho fatto! Che umiliazione!
Come è diverso dall’avere 29 anni e bussare alla porta di un convento con tutta
la forza dell’amore che senti nel cuore per rispondere ad una chiamata così
bella che ti ha fatto cambiare vita ed avere invece 65 anni o più quando sai di
essere conosciuta (perché il tuo monastero fa parte di una federazione e ci si
conosce…anche se molto superficialmente!) più per i difetti o i problemi che puoi avere o
che puoi avere avuto nel tuo cammino vocazionale che per quello che ancora puoi
essere e dare! Oggi sei una persona e una consacrata che improvvisamente ha
perso tutto e non ha più nulla! Espropriata di tutto! E pure ricevi tanti no!
Con gentilezza, con tanta preghiera, con tanto dispiacere nel cuore, e a volte,
molto raramente, ti viene detto in faccia, ma il più delle volte non si ha il
coraggio di dirti che…non c’è posto per te, perché rischi di destabilizzare gli
equilibri che ci sono, perché si è già stati accoglienti con altre persone e
ora magari ci si è pure pentite di averlo fatto, perché c’è posto solo per
vocazioni giovani e che dopo i 40 anni non è il caso di ricominciare ad
inserirsi in una comunità! Detto con franchezza: quanta ipocrisia nella vita
religiosa che cammina a braccetto con tanta santità! Poi c’è qualcuno di buona volontà che di corsa
ti accoglie: ti manifesta affetto, fiducia, compassione ed è pronta a fare
qualunque cosa per te! Ti commuovi! E
scopri che oltre al cuore grande e generoso hanno anche un ‘età molto generosa:
Età media sopra i 75 anni. Poche vocazioni o nessuna. E con un incredibile
futuro davanti a loro: quello della loro soppressione! E io ci sono già
passata. E non posso nemmeno lontanamente immaginare di passarci di nuovo! E’
la cosa più triste e più devastante che abbia mai vissuto in vita mia. Chiudere
un monastero non è cambiare casa, traslocare! Chiudere un monastero è chiudere
una, due, cinque, sette vite, è chiudere una storia di centinaia e centinaia di
anni, di giorni, è strapparsi dagli occhi ma ben più dal cuore sentimenti,
emozioni, ricordi, relazioni, momenti di vita belli e brutti, e guardare
avanti: rinascere ad una nuova vita nello spirito! Si chiude per la vita, ci
viene detto da superiori, spiritualisti, confessori e psicologi! Chiudere un
archivio di foto, documenti, smantellare una libreria di migliaia di libri, è come
restare soffocati dall’immenso materiale che si accumula negli anni e che oggi
tocca a te, eliminare, bruciare, regalare, buttare via con i camion della
nettezza urbana! E alla fine, avere la maledetta responsabilità di essere
rappresentante legale: un giorno, molto lontano, lo consideravi anche come un
bel titolo da mettere sotto la tua firma perché esprimeva la fiducia e la stima
delle tue sorelle che te lo avevano affidato!
Oggi invece la sento come una condanna, una condanna che in questo tempo
di pandemia per il Coronavirus mi uccide molto di più. Dopo aver vissuto tutto questo, tenendo il
dolore e le lacrime solo per me e per il Signore, ho scelto di vivere vicino al
monastero in un piccolo appartamento in città per seguire da vicino la transazione del passaggio del monastero e
la sua alienazione e nel quale pago l’affitto non piccolo e tutte le utenze
necessarie, grazie a un piccolo quid che la superiora mi ha messo su un conto
corrente prima di separarci, (sono al secondo anno di esclaustrazione che
finirò nel febbraio 2021) E in questo appartamento che è diventato come un
piccolo monasterino cittadino, ho sognato ancora con gioia quasi infantile di poter vivere in una comunità che almeno per tanti e tanti
altri anni ancora sarebbe stata lontana dal pericolo della sua estinzione e con
la quale mi sentivo legata da profondo affetto e sintonia di vita, ma anche qui sono nate difficoltà aggravate dal coronavirus
che ha colpito la comunità per un mio eventuale inserimento, e allora oggi mi chiedo: Spirito Santo, ma
cosa devo fare ancora? Dove devo andare a vivere? Con chi? A chi posso dire e confidare che ho il terrore
di andare nell’unico posto che mi ha mostrato accoglienza e benevolenza? Ho una buona salute, ho imparato fin da piccola
grazie all’educazione ricevuta dai miei genitori a badare a me stessa e ad
affidarmi a Dio con tutte le mie forze, ma le forze dello Spirito mi stanno
venendo a mancare. Anche perché il mio compito di concludere la vendita del
monastero non è concluso: un semplice documento chiamato VIC (valutazione di
interesse culturale) che il ministero italiano della Soprintendenza dovrebbe
inviarmi da Roma con la risposta alla mia richiesta di poter alienare i beni
del monastero, non mi è ancora arrivato nonostante da gennaio l’iter sia stato
totalmente concluso e chissà ancora quanti mesi dovrò attenderlo! Questo
documento impedisce il passaggio di proprietà e l’atto notarile che darebbe il
via alla realizzazione di un importante centro socio-sanitario per ragazzi
disabili della zona dove è ubicato il monastero. E ora che arriva il crollo
dell’economia per tutta la nostra nazione e per tanti altri paesi europei, cosa
sarà di questo progetto? Chi si è impegnato con tanto entusiasmo a voler
realizzare questo progetto nel nostro monastero e ha ottenuto permessi e
finanziamenti avrà ancora la volontà di realizzarlo o l’economia sarà anche per
loro una difficoltà enorme da superare? Me lo chiedo insieme a tante altre
cose!
Certo, in tutto questo cammino non sono rimasta del tutto
sola, i Superiori mi hanno supportato e …sopportato! Ma una cosa è un monastero
soppresso con la sua conseguente alienazione e una cosa è la vita delle monache
soppresse!
E guardandomi intorno, proprio in questo tempo di pandemia,
vedo la durissima situazione nella quale vivono tanti monasteri. Quante di queste
sorelle nei prossimi anni vivranno la condizione di monache soppresse e saranno
reinserite in altre comunità in luoghi e monasteri totalmente diversi da quelli
nei quali hanno vissuto per una vita intera?! In questi mesi, tanti anziani e
meno anziani sono morti soli, lontani dalle loro famiglie, dai loro cari, a
volte purtroppo senza nemmeno la dovuta assistenza che al contrario spesso
nelle nostre comunità si riceve fino all’ultimo respiro con carità e tenerezza.
Mai come in questi mesi mi sono sentita una cosa sola con
l’umanità intera. Con questa umanità totalmente fragile, sofferente e sola! Io ho sofferto e soffro nel cuore, loro,
tanti di loro, hanno sofferto e soffrono nel corpo e nel cuore. Non è stato
facile vivere la mia fede on-line! Ore ed ore al computer ad ascoltare la Messa
del Papa. A seguire qualsiasi altra sua
iniziativa, o dei miei confratelli del mio ordine religioso, o del nostro
vescovo e dei parroci della mia diocesi. Ma tutto questo non ha colmato il
vuoto dell’Eucarestia quotidiana, della liturgia celebrata insieme, della
Pasqua difficile da percepire come Resurrezione e piuttosto ferma ancora ad un Sabato
Santo dentro un silenzio profondo al quale non ero abituata e che non avevo mai
vissuto.
Ho cercato, nonostante quello che dentro di me stavo vivendo,
di trasmettere speranza e fiducia, serenità e anche allegria in modo
particolare a delle persone molto più giovani di me e che non riescono ad avere
la forza di sperare in un futuro che ogni giorno di più toglie il respiro
perché non sai dove e come andrai a finire, usando la tecnologia e la libertà
di tempo che ho a disposizione. Mi sono chiesta tante volte, pregando per
queste persone, per i miei cari, per coloro che sono nella sofferenza e nella
disperazione: cosa è diventata e come diventerà, se ancora la potrò vivere, la
mia vita contemplativa e claustrale?
Allora ritorno alla domanda che mi sono fatta ancora una
volta questa mattina, provocata dall’omelia del Papa: rinascere dallo Spirito!
Come e dove e quando?
“Davanti alle difficoltà, davanti a una porta
chiusa, che loro non sapevano come andare avanti, vanno dal Signore, aprono il
cuore e viene lo Spirito e dà loro quello di cui hanno bisogno e vanno fuori a
predicare, con coraggio, e avanti. Questo è nascere dallo Spirito, questo è non
fermarsi al “dunque”, al “dunque” delle cose che ho sempre fatto, al “dunque”
del dopo i Comandamenti, al “dunque” dopo le abitudini religiose: no! Questo è
nascere di nuovo. E come si prepara uno a nascere di nuovo? Con la preghiera.
La preghiera è quella che ci apre la porta allo Spirito e ci dà questa libertà,
questa franchezza, questo coraggio dello Spirito Santo. Che mai saprai dove ti
porterà. Ma è lo Spirito.” Papa Francesco nell’omelia di una mattina qualsiasi
durante questa pandemia.
Prima che tutto questo succedesse avevo anche un
altro desiderio; un piccolo pellegrinaggio a Lourdes dove la mia vocazione era
nata quasi 40 anni fa: volevo proprio tornare da…Mia Madre per chiederle ancora
una volta di guidare la mia vita. Ho avuto la grazia di andarci per 10 anni
insieme a mia mamma e ad una mia sorellina handicappata con l’Unitalsi prima
del mio ingresso in convento. Ora anche lei, Maria, è in quarantena, se così si
può dire e non si può andare a pregare laggiù e dove si sperimenta nel cuore la
sua presenza più che altrove, ma sono sicura che ancora potrà prendermi per
mano e aiutarmi e aiutare il mondo intero a vivere questo tempo. Maria Carmen
Sono passati diversi mesi da quando ho scritto
queste riflessioni. Oggi la conclusione
di questo mio tempo sta per arrivare e anche il mio servizio…civile…seppur in
ambito monastico religioso, giunge al termine. Anche la realizzazione e presto
la apertura del nuovo centro socio-sanitario
assistenziale per ragazzi disabili è quasi pronta.
Mi chiedo ancora oggi tante cose, alcune
scontate, altre solo utopiche forse. Saranno ancora tanti i monasteri che
chiuderanno in Italia e in Europa? Forse
sì!
La
soppressione è l’unica via per cambiare pagina, per far fronte alla mancanza
delle vocazioni e dell’invecchiamento? A
volte ho l’impressione che, come nella famiglia, l’eutanasia o il divorzio,
siano come degli slogan per fare delle scelte che non sono per la vita ma per
la morte, sia della vita contemplativa sia delle persone che sono state chiamate
a viverla. E i fatti di cronaca, delle famiglie e degli anziani, che tutti i
giorni sono sotto i nostri occhi lo dimostrano. Quelli delle monache, per fortuna, non
finiscono molto sui giornali!
E ancora mi chiedo: ma la vita contemplativa ha
ancora bisogno di spazi immensi, di grandi comunità, di strutture di
separazione? Perché la dove ci sono nuove presenze ancora si realizzano grandi
strutture per dei monasteri che saranno sempre più abitati da numeri molto
diversi da quelli di un tempo? Oggi una grande fascia di umanità vive molto
precariamente e senza una casa e noi abitiamo in case vuote e così cariche di
pesi per la loro manutenzione e conservazione che nessuno è più in grado di
portare. Allora quel silenzio, che nulla
ha a che vedere con il silenzio abitato da Dio, viene spesso condiviso da altre
riflessioni e angosce!
E se la pandemia davvero cambiasse le nostre
vite? La clausura è una nostra scelta, è una chiamata, è un modo di vivere…è
uno spazio vitale dove c’è un rapporto ben preciso con Qualcuno, ma non è e non
sarà mai un muro di cinta, una casa isolata lontana dalla città, una grata di
separazione o una assenza di tecnologia o di contatti! Perchè la vita
claustrale è bellezza, è riconciliazione, è incontro, è dialogo, è un
orizzonte, è un infinito, è vita eterna sempre e dovunque. Chissà quanti
giovani ancora oggi hanno l’esigenza profonda di vivere questa vita e hanno
solo bisogno di qualcuno che li aiuti a trovarla!
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