In questi giorni tanti avvenienti mi rimbalzano nella
mente come una moviola dopo una partita di calcio. Il Signore ha chiamato a sé,
tra tanti uomini e donne del mondo, Jean Vanier, fondatore di una comunità
favolosa che si occupa di convivere e assistere tanti uomini e donne portatori
di handicap e non solo, in tutto il mondo e particolarmente in Francia dove è
nata. Fin dagli anni ‘’80 mi ha affascinato e non solo perché nella mia
famiglia vivevo una particolare situazione, ma soprattutto per il suo mettersi
in gioco in prima persona rinunciando ad una vita più che brillante, da laico,
non da monaco o da sacerdote, ma da semplicissimo uomo libero capace di fare della sua vita una vita donata e
condivisa. Ecco, questo è l’aspetto che me lo rendeva affascinante: la libertà
interiore per vivere un servizio al quale sentiva di essere chiamato da una
forza interiore così grande che credo che nemmeno lui sapesse quale sarebbe
stato poi il cammino che avrebbe fatto e quale testimonianza avrebbe dato al
mondo. Quanto è difficile trovare nella
chiesa e nella società questa libertà interiore. In genere tutti la vogliono per sé ma
difficilmente permettono agli altri di averla. Essere liberi è una azione dello
Spirito, è la certezza della presenza del Signore nella tua vita, è avere un
Sogno che si chiama Amore, che si chiama volto umano, che si chiama bisogno
degli altri, di tutti gli altri, comunque siano fatti nel corpo o nello
spirito, del loro colore della pelle o degli occhi, dei loro soldi in tasca o
della loro tenda sotto i ponti, quegli altri che sono quella componente
essenziale del mio essere persona umana e che per tutta la vita mi fa sentire
una incompletezza profonda che in fondo si chiama…Resurrezione. Un cristiano la
chiama così, una monaca la chiama conversione, una mamma di famiglia la chiama
maternità, un non credente forse la chiama più semplicemente ricerca più o meno
scientifica e filosofica con la voglia di vivere tutto il possibile e
l’impossibile attraverso l’uso della ragione. Ma in tutti c’è un comune
denominatore: bisogno di libertà. Quasi che l’essere costretti dentro un corpo
che ha i giorni contatti, più o meno lunghi, ti metta dentro una sete infinita
di qualcosa che nemmeno tu sai definire. Io l’ho chiamata tante volte con tanti
nomi, tante situazioni, tante esperienze personali e comunitarie, ma non è
finita. E’ come un palazzo perennemente
in costruzione; a volte ci sono terremoti che lo buttano a terra o che lasciano
delle lesioni tra le pareti delle stanze, a volte non hai i soldi per pagare
gli operai che ti aiutano a costruirlo e ti devi fermare: ma hai sempre bisogno
di quella Casa, hai bisogno di costruirla, di rimetterla in piedi o di andare
avanti nel progetto di quella costruzione. Questo è il mio Sogno: Risorgere per
finire questa Casa che qualcuno mi ha affidato quando nel Suo pensiero eterno
ha pensato a me e mi ha dato una vita da vivere su questo pianeta. ( continua)
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