Spesso mi viene chiesto come viviamo in clausura e mi si chiede di rispondere a delle domande sulla mia vita perché la nostra vita lascia perplessi e per la maggior parte delle persone è incomprensibile. Credo che la difficoltà maggiore sia capire come delle donne, sane di mente, possano passare tutta la loro vita chiuse tra quattro mura, più o meno ampie, da sole, passando le loro giornate in un clima di solitudine silenzio e preghiera. Oggi questa è la contraddizione più grande, perché la stragrande maggioranza delle persone vive una solitudine pazzesca, quando si parla con qualcuno, il più delle volte non è perché la relazione è importante, ma perché non se ne può fare a meno: ci si parla per motivi di lavoro, di convenienza, di egoismo o semplicemente per caso. Ma cercare qualcuno perché è importante per me parlare con te, perché la tua vita riempie la mia, perché il tuo modo di vivere e di pensare arricchisce il mio, perché la tua diversità mi aiuta a capire e a realizzare il mio sogno, che Dio ha messo nel mio cuore, questo forse non si trova dietro l'angolo della strada della nostra esistenza quotidiana. Al contrario si vive sempre più dentro una paura che l'altro disintegri anche quel piccolo briciolo di spazio, che con fatica e con sofferenza, sei riuscito a ritagliare e a recintare, dove poter almeno respirare, se non riesci proprio a vivere una vita felice. E in monastero come si fa a vivere dentro questa dimensione così forte che non sia fuga, che non sia isolamento o alienazione ma che sia invece rapporto vero e profondo, sincero e reale, personale e comunitario, che non sia una facciata esteriore per portare avanti chissà quale progetto aziendale o per garantirsi una relativa tranquillità economica e sociale? Entrando in convento sapevo di affrontare una sfida: sapevo che avrei condiviso tutta la mia vita con delle persone che non avevo scelto e che non conoscevo, che insieme a loro avrei cercato di realizzare un sogno, quello di rendere visibile attraverso la nostra vita, l'esperienza della Trinità, perché questa è ed era la vocazione alla quale mi sentivo chiamata e perché questa era ed è l'unica gioia che nell'incontro con l'Altro resterà per sempre. Una mia consorella, Suor Elisabetta della Trinità, ha scritto alcune righe nel tentativo di esprimere a parole la sua scoperta di vivere dentro un amore che non era solitudine, ma pienezza e comunione :"Mio Dio, Trinità che adoro, aiutatemi a dimenticarmi interamente, per fissarmi in voi, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell'eternità;che nulla possa turbare la mia pace o farmi uscire da voi, mio immutabile Bene, ma che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero. Pacificate la mia anima, fatene il vostro cielo, la vostra dimora preferita e il luogo del vostro riposo; che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, tutta desta nella mia fede, tutta in adorazione, tutta abbandonata alla vostra azione creatrice. O miei TRE, mio Tutto,mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo." Questo giocarsi la vita per realizzare questa possibilità non è qualcosa che puoi chiudere dentro un quaderno con delle regole da seguire, ma è certamente un desiderio profondo che ti cambia gli istanti della tua vita perché ti spingerà sempre verso un Amore e spingerà altri verso la stessa direzione. Non si è mai soli quando si è amati e quando si ama qualcuno! Un altra consorella, ancora più amata da tutti noi, Santa Teresa di Gesù Bambino, ha scoperto un giorno che...la sua vocazione, nella chiesa, era l'Amore! Forse la nostra vita ha solo questo scopo: scoprire l'Amore e cercare di viverlo fino in fondo.
Proprio oggi leggevo queste righe di C.M. Martini:
RispondiElimina“Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo” (Fil 2, 14-15). Siate cioè punti significativi di riferimento, sapendo che la funzione di illuminazione non è affidata soltanto ai singoli cristiani, ma anche ai diversi modi di fare e di essere comunità.
Le parole di Paolo intendono sottolineare che l’amore gratuito è raro, e che proprio il proporlo quale possibilità vuol dire aprire al mondo un varco di speranza, offrire al mondo una nuova luce. È questo il messaggio del vangelo: l’amore gratuito esiste ed è quello che fluisce dall’amore di Dio, dalla vita della e nella Trinità.
Penso che si adattino molto bene a quella che è la vostra vocazione.
Mi è piaciuto poi che tu abbia accostato le parole di due tue giovani consorelle, che erano quasi contemporanee l'una all'altra, ma che non si sono mai incontrate su questa terra, una in Normandia e l'altra in Borgogna. Molto belli gli scritti di Elisabetta della Trinità. Su quelli di s. Teresina non dico niente, sono troppo di parte. ;-)
Pace e benedizione
Julo d.
La nostra esistenza è vera se esprime una vita di relazione.
RispondiEliminaIn questo momento mi viene in mente l'immagine della folla che di mattina prende d'assalto la metropolitana: gente di tutte le condizioni, persone avvolte nei loro problemi, che non si parlano e leggono il giornale o un libro sedute o in piedi… pronte, appena si libera un posto, ad occuparlo in fretta prima del proprio vicino.
Eppure anche per loro esiste una speranza che dia senso alla vita… perché, ne sono convinto, in un ambiente normale si esprimerebbero come persone che sanno relazionarsi con altre e affrontare con più serenità la solitudine che comunque accompagna ognuno di noi. Quante volte ho cercato di capirle, queste mie compagne di viaggio quotidiano, e di mettermi nei loro panni! Ma quella folla che può sembrare anonima è conosciuta ed amata personalmente da Dio!
Io penso che la solitudine (scelta o subita) faccia parte della nostra esistenza quotidiana. Esiste una solitudine profonda che non si può superare se non squarciando il Cielo o che si può lenire perché ci sforziamo di metterci in relazione amorosa con chi ci sta accanto. E come per un dono che viene dall'alto la pace spunta nel profondo del cuore, prima timida e poi sempre più forte, perché ci siamo sforzati di dimenticarci ed abbiamo accettato l'altro, senza pregiudizio, nel nostro cuore; abbiamo saputo aspettare, con la pazienza di cui malamente siamo capaci, che l'altro abbia il tempo e lo spazio per potersi di nuovo affacciare alla vita che solo insieme si può assaporare.
È la sorzo, sorretto dalla grazia che viene dall'Alto, di fare almeno un po' esperienza della comunione divina: "Vedi la Trinità, se vedi la carità" (sant'Agostino).
In amicizia, Luigi